Ti sei vestita di nero e anch’io non ho potuto fare altrimenti. È il mio destino. Ti sta bene l’abito, sei bella, sei la donna che anche a lutto fa germinare voluttà con un gesto della mano. La donna che ho sempre desiderato. Vorrei gridarlo al mondo il mio dolore, ma ho tanta paura che nessuno riesca ad ascoltare. L’autista non può capire quanto ti abbia amato da quell’istante – nessun altro può all’infuori di me – quanto io ti abbia desiderato da quella notte sul divano; lui non sembra capire la voglia che ho di stringerti la mano, di parlarti, di farti sorridere, anche se si volta spesso per curiosare di sfuggita, invece di guidare. Tu non parli, la cosa non sembra darti fastidio. Non accenni nemmeno un dissenso, talmente il pianto sembra averti prosciugata. E ti capisco, ma gli alberi continueranno a fiorire, vedrai, ogni primavera.
Si tratta di fare il callo a qualcosa che non c’è più. Basta abituarsi, basta avere pazienza. Sono cose che vanno digerite e presto capirai come il tempo faccia miracoli: perché, vedrai, anche le cose più impensabili vengono inghiottite dalle stagioni, prima o poi, anche i fatti più incresciosi hanno i giorni contati. Lo so. So che non è facile accettare, ma bisogna guardare avanti, né io né te abbiamo altra scelta, nessuno ce l’ha. La vita ci ha riservato questo, niente di più. Solo le fotografie, solo loro, potranno riaprire i rubinetti del dolore, ogni volta che scivoleranno dagli album dei ricordi, cadendo ai tuoi piedi increduli, quando gli occhi diverranno umidi e cercheranno impossibile conforto.